Perfettamente in linea
con i migliori romanzi di Meridiano Zero, la seconda prova di Ilaria Palomba
(il primo romanzo, Fatti male, è stato subito tradotto in tedesco per Aufbau
Verlag) ruota intorno alla scena underground della performance art. Palomba si addentra
nella vita delle emule locali di Marina Abramović e Gina Pane, grazie alla sua
esperienza diretta nell’ambiente (gruppo artistico I Cardiopatici). In una Roma
corrotta e carica di disillusioni giovanili, Angelo vive una vita tranquilla
nel tentativo di diventare giornalista. Il suo docente Renato Paolini, papavero
della stampa nazionale, lo indirizza verso una performance sconosciuta, quasi
per dispetto. Quella serata gli cambierà la vita. L’incontro con Iris,
performer che utilizza il proprio sangue e la propria nudità come un pittore
utilizza i colori a olio, stravolgerà la vita all’aspirante giornalista in un
turbine di eventi che equivarranno a una discesa negli inferi della violenza e
dell’emarginazione. La figura di Renato Paolini, giornalista senza scrupoli che
gli ruba l’articolo sulla performance e la ragazza – Luisa, figura salvifica al
contrario: sarà la sua ambizione a respingere nel baratro Angelo – è uno spunto
per una profonda riflessione sull’effetto (vampiresco) dei media sulla vita delle
persone: il rapporto tra Angelo e il suo malefico mentore è il primo girone
della discesa agli inferi a cui assistiamo lungo tutto il romanzo.
La formazione
filosofica dell’autrice punteggia il romanzo di citazioni da Nietzsche,
rendendo ancora più intensa la descrizione della volontà di potenza
(autodistruttiva) che guida la performer verso il raggiungimento dei suoi
estremi obiettivi. Alcune eredità familiari di forte disagio mentale gravano
sui protagonisti, deteriorando la realtà in un incubo ad occhi aperti che il
controcanto di “Bowie”, lo psicologo di Angelo, non riesce a disinnescare.
Ogni capitolo ha il
nome di una traccia musicale da Apparat, ai Radiohead, ai Noir Désir e
molti personaggi hanno un doppio nome:
il proprio e quello di un musicista. Il fratello di Iris, per esempio, viene
spesso chiamato Kurt, perché “simile a Kurt Cobain il giorno prima del
suicidio”. Il triangolo orgiastico tra Iris, il fratello e Angelo convalida
l’ipotesi che in un mondo corrotto non sia possibile fare del bene ai nostri
cari, ma solo bruciare la loro esistenza fino alle estreme conseguenze. Per
questo Lorenzo, o Kurt che dir si voglia, dopo anni ad accudire la sorella che
“si suicida a giorni alterni” decide di smettere di essere il suo virus e
quindi di andarsene.
La struttura del
romanzo è lineare: si passa da un punto A in cui i protagonisti non si
conoscono a un punto B in cui la loro frequentazione li ha totalmente
annichiliti o fatti trionfare, nel distorto disegno della performer. Le voci
narranti sono le confessioni di Angelo a “Bowie” e il diario di Iris. Non è un
giallo perché non l’unica cosa da scoprire è il passo successivo verso il
nulla, eppure Homo Homini Virus non è un romanzo disperante, è un’opera
distopica, al di là del bene e del male.
Prima presentazione (con performance) il 16
aprile alla libreria Giufà di Roma.
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