All'interno
della Repubblica di Macedonia, la principale divergenza politica è tra i
partiti basati per la maggior parte su distinzioni etniche e che rappresentano
la maggioranza macedone del paese e la minoranza albanese. La questione del
bilanciamento dei poteri tra le due comunità portò a una breve guerra civile
nel 2001,
in seguito alla quale è stato raggiunto un accordo sulla condivisione dei
poteri. La Repubblica di Macedonia rimase in pace durante la Guerra civile jugoslava nei primi anni novanta
ma fu parzialmente coinvolta nella Guerra del Kosovo
nel 1999,
quando circa 360 000 albanesi si rifugiarono dal Kosovo
nel paese. I profughi ritornarono velocemente nella loro regione alla fine
della guerra, ma, poco dopo, i radicali albanesi di entrambi i lati del confine
presero le armi per rivendicare l'autonomia o l'indipendenza per le aree a
maggioranza albanese della Repubblica. Venne combattuta una piccola guerra
civile e le etnie albanesi si ribellarono, soprattutto nel
nord e nell'est del paese, nel marzo/giugno del 2001.
Si arrivò a una conclusione del conflitto con l'intervento di un piccolo
contingente di monitoraggio della NATO
e con l'impegno del governo a riconoscere culturalmente la minoranza albanese,
ma intanto molti profughi hanno lasciato la Macedonia con qualunque mezzo
soprattutto il mare. Che cosa è il mare? Lo si dica con le parole di Braudel
riferito al Mediterraneo: “Non una cosa. Mille cose insieme. Non un paesaggio,
ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una
civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.” Ma il mare ha
una sua dualità, una sua ambiguità. Da una parte è armonia, un’immagine
idealizzata del luogo della ‘libertà umana’, uno spazio ideale per
comunicazioni permanenti fra diversi popoli, per un vero e proprio dialogo fra
le culture. E dall’altra parte, ma altrettanto forte, si impone l’immagine del mare
come luogo della disarmonia, delle turbolenze, dei conflitti. Zona di gloriose
migrazioni, di ibridazioni fra i popoli, ma anche di malintesi, di avversioni
costanti e ripetute. La drammaticità dei conflitti diventa un modus vivendi fino
alla successiva soluzione, provvisoria e temporanea, del problema. Proprio per
la predisposizione naturale delle culture al meticcio, ai contatti e
all’ibridazione, è così triste e difficile accettare la realtà dei continui
conflitti armati e le lunghe rivalità e negazioni dell’Altro. Il mare è
diventato un insieme di molte contraddizioni e tanti scontri feroci, provocati
dall’assenza di tolleranza etnica o religiosa. Si sono sempre di più
allontanate l’una dall’altra le sponde del Nord e del Sud, quelle occidentali
da quelle orientali. Oggi regnano processi di separazione e di
particolarizzazione, i crolli dei sistemi multietnici e le tendenze a cercare
dappertutto entità ‘autoctone’. Il concetto di convivenza nelle comunità
multiculturali si scioglie davanti agli occhi. Nikola Madzirov, poeta macedone nato a Strumica da una famiglia di profughi di guerra dei
Balcani scrive: “Un’anziana donna racconterà storie su di noi nella sala
d’attesa ogni mattina. Persino quel che dico è già stato detto: aspettiamo il
vento come due bandiere su un confine. Un giorno ogni ombra ci passerà accanto”
e noi stessi saremo ombre per altri. Si passano vite intere a guardare negli
occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un’anima
e gli occhi di Rosa, bambina macedone che vende rose per strada da sola, qui in
Puglia alla ricerca di una vita che a malapena conosce, rispecchiano un’anima
pulita. Bisognerebbe scegliere due occhi davvero importanti e alla sera, prima
d’andare a dormire, prendere a leggerli. Come il più bello dei libri. Ed io
quella sera ho avuto questa grande fortuna: ci sono due modi per guardare il
volto di una persona. Uno, è guardare gli occhi come parte del volto, l’altro,
è guardare gli occhi e basta… come se fossero il volto. Gli occhi di Rosa hanno
un colore particolare un po’ marrone come l’autunno, grigio come il vento
dell’Adriatico, verde come i più puliti fondali del Mediterraneo. Sono vivi con
domande che forse quella sera non si potevano esprimere, come se non
esistessero ancora le parole con cui inquadrarle. Non c’era nulla intorno a noi
se non qualche sguardo catturato in fretta di passanti increduli e indifferenti.
Di cosa sono
colpevoli? Il loro crimine, come dice Juan Goytisolo, è “il loro istinto per la
vita e l’ansia di libertà”, quell’atomo di libertà che usano scappando dalla
guerra o dalla miseria e rivendicando il diritto di spostarsi, di lavorare, di esistere,
senza voler chiedere elemosina né scusarsi. I cadaveri in fondo al mare sono
davvero troppi. Non si vuole sminuire la responsabilità dei trafficanti che
sfruttano la disperazione degli esseri umani: in fondo è la stessa
responsabilità dei negrieri del XIX secolo e mantengono con il sistema
neocoloniale europeo lo stesso rapporto di dipendenza e funzionalità. Non si ha
nemmeno l’intenzione di negare le responsabilità di quelli che, ad un prezzo
equivalente a 15 biglietti aerei, affittano un centimetro di rischio su queste
barche di Caronte. Anche l’ultimo degli esseri umani può decidere del proprio
destino; ma anche l’ultimo degli esseri umani ha diritto a scegliere un destino
migliore senza per questo giocarsi la vita. E’ l’ipocrisia, con le sue leggi
sulle migrazioni, che nutre i cinici e finirà per mettere nelle loro mani i
governi europei. Ma noi europei come facciamo a piacerci così tanto? Sta
accadendo quello che il teologo tedesco Franz Hinkellammert chiama, a ragione,
“genocidio strutturale” che si inscrive in quella lunga malattia europea che ci
sta facendo marcire l’anima. E allora quegli occhi… quel sorriso… quella meraviglia…
quella speranza…Rosa eppure "L’abitudine è la più infame delle malattie
perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte.
L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente,
silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza
e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto
s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci" (Oriana
Fallaci) e forse ci si è abituati a queste morti e a questi bambini. (Oriana Fallaci nella foto)
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