mercoledì 10 giugno 2015

Un’estate. Una vita di Emilio Guagliani (Favia). Intervento di Angelo Sconosciuto



«L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia...». Non si turbi il lettore: non c'è stato alcun manoscritto da recuperare, perché magari caduto nel dimenticatoio, né opere altrui riemerse da un polveroso cassetto, chiuso da decenni, e proposte ora alle stampe, perché degne di essere considerate.
Questa storia che Emilio Guagliani sembra abbia recuperato dall’oblio (Un'estate. Una vita, Favia, pp. 313, sip) è frutto di fantasia ed è vera allo stesso tempo. Nessuno - meno che meno l'autore - potrà dire che «ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale», perché Emilio Guagliani qui scrive la storia di un lasso molto breve della comunità ostunese e lo fa incastonandovi un vissuto particolare, che potrebbe essere accaduto, se non nella «Città bianca», in un qualsiasi centro del meridione d'Italia in quegli anni, durante i quali non è semplice dimenticare la 2ª Guerra mondiale, perché le ferite non sono del tutto rimarginate e ogni luogo reca ancora segni evidenti di ciò che sono stati quegli anni. Anche una lettura distratta, del resto, riesce a cogliere un'età di non molti diritti affermati e di ancor meno diritti declinati e praticati da una società, i cui componenti guardano al futuro con diverse ottiche e differenti stati d'animo tra la speranza e la rassegnazione, mai toccando la disperazione. Sono gli anni immediatamente precedenti il cosiddetto “boom economico”, quelli nei quali si affaccia timidamente il bisogno dei primi elettrodomestici e compare la (ancora non “cattiva”) maestra televisione. Sono gli anni, del resto, nel corso dei quali si preannuncia l’abbandono di massa delle campagne, per approdare al posto fisso, in paese come in fabbrica, gli anni dell’emigrazione e quelli dell’apertura delle grandi industrie, che porteranno alla trasformazione del bracciantato agricolo nella classe operaia.
Chi appartiene alla comunità ostunese, per “diritto” di nascita o per “simpatia” di adozione, non può fare a meno di vedere, tra le righe di questa storia – che Emilio Guagliani racconta con lo stesso piglio con il quale ogni giorno scrive le sue cronache - le “fonti orali” della stessa, con l'autore che mette ordine nei ricordi di una collettività e li rende dominio comune, terreno di confronto collettivo sul quale ognuno, dopo aver letto, può esprimersi non tanto per correggere il ricordo, quanto per ampliarlo, completarlo, prolungarlo nel tempo facendo sì che possa scriversi un altro di libro di storia, magari con un'altra vicenda tutta umana e personale all'interno, in una sapiente miscela che fa appropriare l'ostunese della storia generale ed il “forestiero” di una storia cittadina così avvincente per la vividezza della sue tinte, fosche o chiare che siano, avendo il sostrato comune che matura all'ombra del feudo, della rigida divisione delle classi sociali, delle lotte tra universitas e feudatari.
Se solo lasciamo andare la mente con la lettura delle pagine che seguono, come non capire che Emilio quell'aria afosa dello scirocco estivo l'ha respirata dalla nascita e che quelle viuzze della “Terra” sono proprio le sue, percorse chissà quante volte, nelle lunghe discussioni serali, con il compianto amico Luigi Greco, storico di razza e scrittore di successo?
Queste pagine, infatti, lasciano trasparire la presenza anche di muti testimoni: il compianto “Gino” Greco è uno di quelli, ma c'è una moltitudine, silente in apparenza che, consegnando brandelli di memoria, ha fatto sì che l'ordito si ricomponesse integro, senza buchi o lacerazioni. E se Emilio rinforza la trama con la Storia (quella con la S maiuscola) puntuale di quegli anni, sono le singole storie che si vanno svolgendo ad avvincere anche il lettore più riottoso all'emozione, il quale non potrà semplicemente concludere, dicendo: «Sempre un mondo è stato...».
Il filo di queste storie si va dipanando tra i “luoghi comunitari” declinati al “maschile” - il circolo cittadino e la piazza, il bar e la cantina – e quelli declinati al “femminile”: il focolare domestico in inverno, lo spiazzo davanti agli usci nel vicolo, ideale, minuscola agorà perché il ricordo personale diventi comune, l'opinione espressa oltre il fatto diventi convinzione condivisa ed il tutto poi si trasformi – Tucidide non ce ne voglia - “possesso perenne”, cioè acquisizione di un patrimonio immateriale che va tramandato. Eppure, nessuna di queste storie è senza un aggancio al fenomeno generale, come alla parte più intima di ciascuno.
Emilio Guagliani, però, ha il pregio di aver messo per iscritto questo immenso patrimonio, non semplicemente schedandolo, ma rendendolo organico e vivo nella maniera più efficace possibile: ricamandoci una bella storia intorno, magari cogliendo i frammenti di tante storie messe insieme ed ascoltate da quel cronista di razza ed uomo di legge – suo zio Aldo -, che lo ha tenuto vicino in tanti anni di comune corrispondenza da Ostuni per “La Gazzetta del Mezzogiorno”, giornale sul quale sono uscite le cronache rosa, come quelle nere, gli articoli di sport, come quelli di cultura e spettacoli.
Una storia verosimile, con tratti realistici ed alcune descrizioni di uomini, fatti e circostanze, capaci di richiamare le migliori esperienze letterarie di questo nostro Sud d'Italia. Un Meridione che, da qualunque lato lo si guardi, almeno un sentimento è incapace di alimentare: l'indifferenza. Per Emilio è lo stesso: un luogo – quel luogo, dov'egli ha voluto ambientare la sua storia – non lascia indifferenti. Ostuni si può amarla o detestarla, ma non lasciare che ciascuno sospenda il suo giudizio. Spetta al cronista-scrittore far sì che, fornendo tutti i particolari, una persona possa capirla meglio e quindi esprimersi con maggiore cognizione di causa. Ed Emilio Guagliani lo ha fatto nel modo migliore, scegliendo anche i personaggi pubblici più giusti: uno per tutti, don Italino Pignatelli, le cui opere, come l'aneddotica su di lui, “Amico” degli ultimi ed “amico” dei potenti, hanno travalicato i confini regionali, nel nome della solidarietà, della condivisione, dello spendersi per ciascuno, della… «ostunesità».
Del resto: «Siano gli artisti ora a scrivere la storia», ha proposto di recente un grande inviato, Giovanni Ruggiero, a proposito della trasposizione letteraria (romanzi, poesie, pièces teatrali) delle vicende contemporanee vissute oltre l'Adriatico, nel magma etnico dei Balcani. Emilio Guagliani ci ha provato, riuscendoci, con vicende recenti della sua amata Ostuni: l'augurio è che questo tentativo non resti isolato.


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