«L'Historia
si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché
togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li
richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia...».
Non si turbi il lettore: non c'è stato alcun manoscritto da recuperare, perché
magari caduto nel dimenticatoio, né opere altrui riemerse da un polveroso
cassetto, chiuso da decenni, e proposte ora alle stampe, perché degne di essere
considerate.
Questa storia che Emilio Guagliani sembra
abbia recuperato dall’oblio (Un'estate.
Una vita, Favia, pp. 313, sip) è frutto di fantasia ed è vera allo stesso
tempo. Nessuno - meno che meno l'autore - potrà dire che «ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è
puramente casuale», perché Emilio Guagliani qui scrive la storia di un
lasso molto breve della comunità ostunese e lo fa incastonandovi un vissuto
particolare, che potrebbe essere accaduto, se non nella «Città bianca», in un
qualsiasi centro del meridione d'Italia in quegli anni, durante i quali non è
semplice dimenticare la 2ª Guerra mondiale, perché le ferite non sono del tutto
rimarginate e ogni luogo reca ancora segni evidenti di ciò che sono stati
quegli anni. Anche una lettura distratta, del resto, riesce a cogliere un'età
di non molti diritti affermati e di ancor meno diritti declinati e praticati da
una società, i cui componenti guardano al futuro con diverse ottiche e
differenti stati d'animo tra la speranza e la rassegnazione, mai toccando la
disperazione. Sono gli anni immediatamente precedenti il cosiddetto “boom
economico”, quelli nei quali si affaccia timidamente il bisogno dei primi
elettrodomestici e compare la (ancora non “cattiva”) maestra televisione. Sono
gli anni, del resto, nel corso dei quali si preannuncia l’abbandono di massa
delle campagne, per approdare al posto fisso, in paese come in fabbrica, gli
anni dell’emigrazione e quelli dell’apertura delle grandi industrie, che
porteranno alla trasformazione del bracciantato agricolo nella classe operaia.
Chi appartiene alla comunità ostunese, per
“diritto” di nascita o per “simpatia” di adozione, non può fare a meno di
vedere, tra le righe di questa storia – che Emilio Guagliani racconta con lo
stesso piglio con il quale ogni giorno scrive le sue cronache - le “fonti
orali” della stessa, con l'autore che mette ordine nei ricordi di una
collettività e li rende dominio comune, terreno di confronto collettivo sul
quale ognuno, dopo aver letto, può esprimersi non tanto per correggere il
ricordo, quanto per ampliarlo, completarlo, prolungarlo nel tempo facendo sì
che possa scriversi un altro di libro di storia, magari con un'altra vicenda
tutta umana e personale all'interno, in una sapiente miscela che fa appropriare
l'ostunese della storia generale ed il “forestiero” di una storia cittadina
così avvincente per la vividezza della sue tinte, fosche o chiare che siano,
avendo il sostrato comune che matura all'ombra del feudo, della rigida
divisione delle classi sociali, delle lotte tra universitas e feudatari.
Se solo lasciamo andare la mente con la
lettura delle pagine che seguono, come non capire che Emilio quell'aria afosa
dello scirocco estivo l'ha respirata dalla nascita e che quelle viuzze della
“Terra” sono proprio le sue, percorse chissà quante volte, nelle lunghe
discussioni serali, con il compianto amico Luigi Greco, storico di razza e
scrittore di successo?
Queste pagine, infatti, lasciano trasparire
la presenza anche di muti testimoni: il compianto “Gino” Greco è uno di quelli,
ma c'è una moltitudine, silente in apparenza che, consegnando brandelli di
memoria, ha fatto sì che l'ordito si ricomponesse integro, senza buchi o
lacerazioni. E se Emilio rinforza la trama con la Storia (quella con la S
maiuscola) puntuale di quegli anni, sono le singole storie che si vanno
svolgendo ad avvincere anche il lettore più riottoso all'emozione, il quale non
potrà semplicemente concludere, dicendo: «Sempre un mondo è stato...».
Il filo di queste storie si va dipanando
tra i “luoghi comunitari” declinati al “maschile” - il circolo cittadino e la
piazza, il bar e la cantina – e quelli declinati al “femminile”: il focolare
domestico in inverno, lo spiazzo davanti agli usci nel vicolo, ideale,
minuscola agorà perché il ricordo personale diventi comune, l'opinione espressa
oltre il fatto diventi convinzione condivisa ed il tutto poi si trasformi –
Tucidide non ce ne voglia - “possesso perenne”, cioè acquisizione di un
patrimonio immateriale che va tramandato. Eppure, nessuna di queste storie è
senza un aggancio al fenomeno generale, come alla parte più intima di ciascuno.
Emilio Guagliani, però, ha il pregio di
aver messo per iscritto questo immenso patrimonio, non semplicemente
schedandolo, ma rendendolo organico e vivo nella maniera più efficace
possibile: ricamandoci una bella storia intorno, magari cogliendo i frammenti
di tante storie messe insieme ed ascoltate da quel cronista di razza ed uomo di
legge – suo zio Aldo -, che lo ha tenuto vicino in tanti anni di comune
corrispondenza da Ostuni per “La Gazzetta del Mezzogiorno”, giornale sul quale
sono uscite le cronache rosa, come quelle nere, gli articoli di sport, come
quelli di cultura e spettacoli.
Una storia verosimile, con tratti
realistici ed alcune descrizioni di uomini, fatti e circostanze, capaci di
richiamare le migliori esperienze letterarie di questo nostro Sud d'Italia. Un
Meridione che, da qualunque lato lo si guardi, almeno un sentimento è incapace
di alimentare: l'indifferenza. Per Emilio è lo stesso: un luogo – quel luogo,
dov'egli ha voluto ambientare la sua storia – non lascia indifferenti. Ostuni
si può amarla o detestarla, ma non lasciare che ciascuno sospenda il suo
giudizio. Spetta al cronista-scrittore far sì che, fornendo tutti i
particolari, una persona possa capirla meglio e quindi esprimersi con maggiore
cognizione di causa. Ed Emilio Guagliani lo ha fatto nel modo migliore,
scegliendo anche i personaggi pubblici più giusti: uno per tutti, don Italino
Pignatelli, le cui opere, come l'aneddotica su di lui, “Amico” degli ultimi ed
“amico” dei potenti, hanno travalicato i confini regionali, nel nome della
solidarietà, della condivisione, dello spendersi per ciascuno, della…
«ostunesità».
Del resto: «Siano gli artisti ora a
scrivere la storia», ha proposto di recente un grande inviato, Giovanni
Ruggiero, a proposito della trasposizione letteraria (romanzi, poesie, pièces
teatrali) delle vicende contemporanee vissute oltre l'Adriatico, nel magma
etnico dei Balcani. Emilio Guagliani ci ha provato, riuscendoci, con vicende
recenti della sua amata Ostuni: l'augurio è che questo tentativo non resti
isolato.
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