mercoledì 27 aprile 2016

Manuale pratico di giornalismo disinformato, di Paolo Nori (Marcos y Marcos). Intervento di Nunzio Festa



'Nnaltro' libro pazzesco. A 30 secondi di lettura al massimo, trovi un brivido di stupore. Nori usa la lingua come una fisarmonica, no... no... no...: trasforma la lingua italiana in questo strumento. Il solito Ermanno Baistrocchi ci racconta delle sue brave lezioni di "Giornalismo disinformato", una specie di scuola di scrittura creativa e ricreativa. Ma mentre deve raccontarlo, per obbligo forse di legge s'intuisce da subito, a qualcuno in particolare. Perché qualcosa di strano davvero è accaduto. Un avvenimento che, ma molto vagamente, sa di giallo. Come si capisce all'inizio ma - ovvio - meglio alla fine del romanzo: ché nelle cucina d'Ermanno Baistrocchi era steso un morto! Mentre l'assillo lavorativo era di scrivere il nuovo romanzo commissionato dal suo editore. Operazione di mestiere, però, che questa volta Baistrocchi non riusciva proprio a farsi scendere in gola. E rimandava la stesura del libro, rinviava il tempo della scrittura. Davvero? Quando, dopo la prima esperienza con il giornale di sinistra "La canaglia" aveva anche accettato una proposta di collaborazione giornalistica al destro "La marmaglia". (Allora i redattori del primo, certo, l'avevano debellato dall'elenco dei sostenitori attivi del loro giornale militante). Facendo, però, il giornalismo disinformato che poi spiegava al suo gruppo di partecipanti alla scuola, di giornalismo disinformato. Per intenderci meglio, fra le caratteristiche del giornalismo disinformato ci sono pure le interviste alla gente 'normale' e dire sempre le cose che non si possono dire. Ecco, nuovamente, l'epos del quotidiano. Parmigiano (con due 'p'), il nostro autore, fine traduttore di classici e meno classici russi, inventore di collane editoriali "atipiche", capace d'inventarsi per esempio un romanzo come "La banda del formaggio" - Marcos y Marcos, Milano, 2013 - qualcosa sul suo spazio telematico l'aveva anticipato. Ma quando prendiamo tutto assieme, vediamo trasformarsi in opera letteraria una dichiarazione del Nori: "Quando ho cominciato a scrivere avevo il computer su un tavolo che era contro un muro, e scrivevo guardando questo muro e la mia attenzione era tutta verso l’alto, il triangolo che percorrevo per ore, nella mia testa, era tra me, il computer e il cielo della letteratura dal quale cercavo di attingere quelle parole, quelle espressioni, quella sintassi che avrebbero fatto di me un maestro di stile, e scrivevo in una lingua dalla quale non si capiva, non si doveva capire, che io ero di Parma, nel cielo della letteratura non c’era Parma, non c’eran confini comunali, provinciali, regionali, c’eran delle altre cose, c’era il premio Nobel, c’eran dei busti un po’ impolverati, c’era la legge Bacchelli e dietro, là in fondo, c’era la crusca, e i cruscanti, che si intravedevano appena ma restava il dubbio sulla loro natura a metà tra l’umano e il divino. Dopo sei mesi circa che scrivevo tutti i giorni con questa aspirazione al cielo della letteratura, mi hanno invitato a una rivista (si chiamava Il semplice) dove, per capire se i racconti erano belli o no, li leggevano ad alta voce, e io, quando son tornato a casa ho provato anch’io a leggere le mie cose ad alta voce e pian piano le cose che scrivevo si sono macchiate della lingua del posto dove le scrivevo (Parma), e le cose da scrivere non mi venivan più dall’alto, mi venivan su da tutte le parti e quel triangolo lì, io – computer – cielo della letteratura, è diventato un triangolo con un vertice infinito, è diventato io – computer – mondo, credo che grossomodo sia successo così". Come non leggere questo minutarista?

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